antiche città

« Older   Newer »
  Share  
arconte73
view post Posted on 10/6/2010, 20:27






Extraterrestri nell India protostorica? Il Mahabharata descrive gli effetti di un'altra arma, della "Narayana":

"I guerrieri... furono visti togliersi le armature e lavarle nell'acqua". Queste descrizioni richiamano alla memoria in modo impressionante gli effetti di esplosioni atomiche e di bombe al fosforo.
In realtà nel Ramayana vengono descritte parecchie armi che, per quanto possano sembrare fantastiche, somigliano molto ad armi modernissime. Si parla per esempio dell'arma Kamaruchi, "freccia intelligente, che va dove vuole", in cui senza troppa fantasia si può vedere un missile telecomandato. O della Murchchdhana, "arma che causa la temporanea sospensione di tutte le sensazioni"; forse un gas nervino? E l'arma Nadana, "che produce gioia", non potrebbe essere un gas esilarante?
Il Mercurio Nucleare Si ipotizza che il mercurio sia servito per produrre energia nucleare e che la civiltà del deserto sia stata distrutta da una guerra combattuta utilizzando veicoli aerei e esplosivi di inaudita potenza, di cui parlano anche i sacri testi indù. Diverse antiche pagine della letteratura indiana difatti descrivono macchine in grado di volare utilizzando l'energia prodotta dal riscaldamento del mercurio, precedentemente posto in una caldaia. L'HarsaCarita di Bana racconta di una macchina del cielo (Akasa Katha) costruita da uno Yavana (Barbari Stranieri). Macchine menzionate anche nel BrihatKatha scritto da Buddhasvamin.

Vimana: Tecnologia di velivolo nell'antica India Uno dei grandi testi epici indiani , il "Ramayana", contiene la storia di un viaggio sulla luna a bordo di un Vimana (o "Astra"), e descrive una battaglia sulla luna con un "Asvin" (un veicolo di Atlantide). Questa potrebbe implicare una tecnologia-anti-gravitazionale e spaziale utilizzata dagli indiani. Per capire questa tecnologia, dobbiamo andare indietro nel tempo: al cosiddetto "Impero Rama" dell'India settentrionale e del Pakistan, che si sviluppò quindicimila anni fa nel subcontinente indiano e fu nazione ricca di tanti grandi e sofisticate città, molte delle quali devono essere ancora ritrovate nei deserti del Pakistan e dell'India settentrionale ed occidentale. Le grandi città-capitali dell'Impero Rama erano conosciute nei testi classici Hindu "Le sette Città Rishi". Secondo gli antichi testi, la gente aveva delle macchine volanti chiamate "Vimana", descritte come veicoli circolari a due piani, dotati di vari oblò e di una cupola, proprio come ci immaginiamo un disco volante. Il Vimana volava alla "velocità del vento" ed emetteva un "suono melodioso". C'erano almeno quattro diversi tipi di Vinama...



Nel 1920 gli archeologi portarono alla luce le rovine della città di Harappa, nell'India occidentale, risalente al 2500 a.C. Un'altra città fu poco dopo scoperta 565 chilometri più a sud sul fiume Indo, la città di Mohenjo-Daro. Queste città facevano da centri gemelli per più di 40 cittadine e villaggi, i cui abitanti usavano le stesse misure di peso con un sistema basato sul numero 16, costruivano case con mattoni di un solo tipo, cotti sul fuoco invece di essere fatti asciugare al sole. Gli archeologi pensano perciò che la vegetazione fosse forte e rigogliosa, data la grande quantità di legna necessaria come combustibile per le fornaci. Le città della valle dell'Indo dovettero il loro sviluppo al commercio e all'industria resi possibili dall'abbondanza degli alimenti. Gli agricoltori della valle dell'Indo coltivavano frumento, orzo, piselli, cotone; come i sumeri tenevano animali domestici che fornivano cibo e lana, allevavano maiali, pecore, capre, bovini, zebù, bufali d'acqua, elefanti, asini e cammelli. Gli artigiani erano abili nel lavorare rame, bronzo, e producevano rasoi, asce, ami, ornamenti, statuette di danzatrici e modelli di carri con baldacchino; con oro, argento, lapislazzuli, ametista e agata costruivano vasi, braccialetti, corone e collane. La maggior parte del rame era importato con barche a vela o a remi dal golfo Persico mentre lunghe carovane di asini e cammelli si spingevano fino al Belucistan per il bitume e la steatite, fino all'Afganistan per l'argento e fino al Ragiaputana per il piombo.

I profitti del commercio confluivano ad Harappa e a Mohenjo-Daro. Le due città erano state progettate in modo simile, le strade principali (larghe fino a 9 metri), dividevano la città in settori rettangolari con l'asse di circa un chilometro e mezzo. In entrambe le città esisteva un sistema di canali di scolo di gran lunga superiore a quello di qualsiasi città antica: gli scoli che uscivano dalle case si scaricavano in canali più grandi che correvano sotto le strade e conducevano a enormi pozzi neri. In molte case c'erano stanze da bagno e a Mohenjo-Daro c'era una piscina in mattoni, impermeabilizzata con bitume. Nella valle dell'Indo le città prosperarono per molti secoli, fino al 2000 a.C. quando l'India fu invasa da uno o più popoli di razza sconosciuta che, su carri trainati da cavalli e scoccando frecce dalla punta di metallo, saccheggiarono e bruciarono le città della valle dell'Indo distruggendo così la loro cultura che scomparve definitivamente nel 1200 a.C.




I miti della valle dell'Indo: i Vimana
Diversi testi epici indù e tibetani, vecchi di 5000 anni, descrivono minuziosamente misteriosi carri infuocati, i Vimana, che volavano nei cieli della valle dell'Indo. Queste straordinarie macchine volanti trasportavano armi spaventose ed erano guidate da dei e semidei, scesi su una Terra scelta come campo di battaglia. "Vimana" in sanscrito e "Viamanam" in pali significa, letteralmente, "misurare un percorso", o "carro volante". Questi misteriosi battelli in legno o in metallo erano realizzati applicando tecniche ora perdute ed erano in grado di volare sfruttando una particolare forma di energia "eterica" vibratoria, detta "Vril".

"I primi Vimana", racconta W. Scott Elliott nel suo libro "Storia di Atlantide", scritto dieci anni prima che i fratelli Wright compissero il primo volo, "erano in legno; le tavole erano straordinariamente sottili, trattate con una sostanza che conferiva una resistenza simile a quella del cuoio, pur non aumentandone il peso, così da assicurare la necessaria combinazione tra resistenza e forza. Quando veniva usato il metallo, esso era generalmente una lega tra due metalli bianchi e uno rosso. Una sottile lamina di questo prodotto veniva distesa sulla forte struttura del battello aereo, veniva battuta nella forma voluta e saldata elettricamente. In questo modo, la superficie esterna dei Vimana appariva priva di giunture e perfettamente liscia e i carri risplendevano nell'oscurità come rivestiti di vernice luminosa. Il loro generatore era una pesante cassa metallica che terminava con due larghi tubi flessibili, attraverso cui fluiva l'energia fino all'estremità della nave, e in caso di necessità, c'erano altri otto tubi supplementari, fissati a prua e a poppa, che disponevano di doppie aperture puntate verticalmente, tanto verso l'alto quanto verso il basso. In fase di decollo, le valvole degli otto tubi che puntavano verso il basso venivano aperti mentre le altre venivano chiuse. La corrente emessa attraverso questi tubi esercitava sulla terra una pressione tale da sollevare verso l'alto il battello. La massima velocità raggiungibile era prossima ai 150 Km/h e la rotta del volo, che non era mai rettilinea, ma sempre in forma di lunghe onde, cambiava continuamente quota, avvicinandosi e allontanandosi dalla terra". Elliot aveva appreso queste informazioni da antichi documenti asiatici ed indiani, dei quali esistono copie custodite in musei e biblioteche orientali.

I Vimana sono anche descritti nei poemi epici indù. In uno di questi, il Ramayana di Valmiki (testo epico in 50.000 versi composto nel V secolo a.c.), la dettagliata descrizione del Vimana ricorda in tutto e per tutto i nostri moderni razzi, si legge: "Lo splendente Vimana irradiava un bagliore fiammeggiante. Fiammeggiando come un fuoco cremisi, volava il carro alato di Ravana. Era come una cometa nel cielo". Il fragoroso ordigno decollando si ammantava di una forte luminosità. "Il Dio Bhima volava nel suo Vimana splendente come il sole e dal rumore del fulmine.. Si poteva credere che due soli brillassero nel cielo, e il cielo stesso veniva rischiarato violentemente".

In un altro testo epico, il Mahabharata, si legge: "Scorgemmo nel cielo una cosa che sembrava una nube luminosa, come delle fiamme di un fuoco ardente... Da questa massa emerse un enorme Vimana scuro che lanciò dei proiettili fiammeggianti. Si avvicinò al suolo a velocità incredibile, lanciando delle ruote di fuoco. Ciò causò un tumulto; cavalli ed elefanti da guerra e migliaia di soldati vennero uccisi dalle esplosioni. E il Vimana inseguì l'esercito per un pò, prima di scomparire". E il Ramayana, nel VI capitolo noto come "libro dello Yuddhacanda" racconta di un combattimento tra due dei, Rama e Ravana, con "dardi infuocati lanciati da Vimana mossi da cavalli dalle cui membra uscivano faville". Il combattimento aereo era dunque una delle prerogative dei carri volanti. In una sezione del Mahabharata, chiamata Drona Parva, vengono descritte in modo particolareggiato queste potenti navi divine, con simbologie che tradiscono lo stupore e la meraviglia del profano di trovarsi dinanzi ad una incomprensibile tecnologia. "La mente è il suolo che sostiene il Vimana", vi è scritto, "e la parola è il binario sul quale procedere. Tutti i discorsi e tutte le scienze sono raccolti in essa, ed anche il Suono Vedico Vashat. E la sillaba Om davanti a quel carro lo rende straordinariamente bello. Quando si muove, il suo rombo riempie tutti i punti cardinali". Questa descrizione, apparentemente incomprensibile può essere ricondotta a un'altra antica tradizione tibetana circa l'esistenza di un magico cubo volante, chiamato "Duracapalam" grazie al quale i mistici tibetani, recitando determinate preghiere, potevano spostarsi in qualunque parte della terra. La casta sacerdotale, responsabile della stesura di un altro antico testo sanscrito, il "Samaranga Sutradhara", così si esprime: "I particolari della fabbricazione dei Vimana vengono tenuti segreti per sicurezza, non per ignoranza. Essi non sono nominati perché si dovrebbe ben sapere che, se fossero rivelati pubblicamente, verrebbero male usati". Questa reticenza nella divulgazione dei particolari, analoga al timore delle "moderne" autorità americane nel rivelare i segreti tecnologici degli aerei-spia con tecnologia stealth, spiega il linguaggio a volte prettamente tecnico, a volte oscuro e indecifrabile. "Forte e durevole deve essere il corpo, come un grande uccello volante, di materiale leggero. Dentro si deve porre il motore a mercurio, con sotto l'apparecchio di ferro per il riscaldamento. Per mezzo della forza latente del mercurio, che mette in moto il vertice, un uomo seduto al suo interno può viaggiare nel cielo, in modo meraviglioso, percorrendo grandi distanze. Allo stesso modo, usando i procedimenti descritti, si può costruire un Vimana grande come il tempio del dio in moto... Quattro forti contenitori di mercurio devono essere costruiti nella struttura interna. Quando sono stati riscaldati dal fuoco controllato dei contenitori di ferro, il Vimana sviluppa la forza del tuono attraverso il mercurio. E subito diventa come una perla grigia nel cielo. Tuttavia, se questo motore di ferro con le giunture appropriatamente saldate viene riempito di mercurio, e il fuoco viene condotto fino alla parte superiore, esso sviluppa la potenza come il ruggito di un leone... Ecco ora alcune delle qualità principali del carro aereo: può essere invisibile, trasportare passeggeri, essere reso piccolo e compatto, muoversi in silenzio (se deve essere usato il suono deve esservi una grande flessibilità di tutte le parti mobili che devono essere costruite alla perfezione); deve durare a lungo; deve essere ben coperto; non deve diventare troppo caldo, troppo rigido o troppo morbido; può essere mosso da melodie e ritmi".

Nel 1993 Richard L. Thompson, laureato in matematica alla Cornell University negli U.S.A. ha presentato una rilettura scientifica dei testi vedici indù al Congresso Internazionale di Astronautica di Bangalore. "E' importante chiarire - ha dichiarato Thompson - che nell'antica società vedica i velivoli aerei, in sanscrito Vimana, erano conosciuti da tutti. Potevano essere macchine fatte di energia fisica grossolana oppure di energia sottile e trascendentale. Gli esseri umani non costruivano macchine simili, ma le ricevevano da esseri più avanzati, gli Dei". Uno dei molti episodi che ha richiamato l'attenzione dello studioso circa la presenza di un Vimana si trova nel testo epico Bhagavata Purana, in cui si narra della lotta del re Salva contro il dio Krishna. Salva era intenzionato a distruggere Dvaraka, la città di Dio, e a tale scopo si era procurato un Vimana, grazie all'aiuto di un certo Maya Danava, qualificato come "abitante di un sistema planetario chiamato Talatala" (Atlantide? N.d.A.).

"L'aereo occupato da Salva era molto misterioso", riferisce il testo. "Era così straordinario che a volte appariva come se molti aeroplani volassero contemporaneamente nel cielo, a volte era come se non ve ne fosse alcuno. A tratti l'aereo era visibile, a tratti non lo era più; i guerrieri della dinastia Yadu erano sconcertati dai movimenti dello strano velivolo. A volte lo vedevano a terra, a volte appariva in cielo, a volte era fermo sulla cima di una collina, a volte galleggiava sulla superficie dell'acqua. Il meraviglioso aereo volava in cielo come un tizzone roteante senza fermarsi un momento". (Nota: il traduttore di questi passi è A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, che sembra non avervi visto alcunché di fisico, ma solo metafore mistiche). Il veicolo di Salva è descritto come una città di ferro, quindi deve aver avuto un aspetto metallico e grandi dimensioni. I Vimana vedici sono spesso descritti come città volanti, cioè oggetti di enormi dimensioni.

Nei più importanti testi vedici detti Purana (comprendenti tre opere religiose composte tra il VI secolo a.C. e il IX secolo d.C, il Mahabharata, il Ramayana e il Bhagavata Purana) si sostiene che nell'universo vivano ben 8 milioni di altre forme di vita, dalle più semplici, vegetali ed animali, alle più complesse. Delle 400.000 razze umane, i terrestri rappresenterebbero il gruppo meno potente, secondo i testi vedici. E questo spiegherebbe perché i semidei dei Purana non hanno scrupoli nello sfruttare la terra come campo di battaglia e di passaggio, compiendovi ogni tipo di nefandezza, come la distruzione di intere città con armi che oggi non esiteremmo a definire "atomiche". Principali responsabili di queste presunte interferenze aliene, ricorrenti in tutti i Purana, sono particolarmente degli esseri chiamati "Deva", abitanti del misterioso "regno di Svargaloka".

"Organizzati secondo una gerarchia militare", commenta Thompson, "i Deva si occupano di politica e di guerra e le loro battaglie contro le forze inferiori influenzano talvolta la vita dei terrestri".

I Vimana venivano utilizzati come dei veri e propri cacciabombardieri, e il loro potere distruttivo era enorme. Nel Drona Parva, un libro del Mahabarata compare la descrizione, riportata da un testimone oculare, dei risultati ottenuti da un'arma chiamata Agneya, lanciata da un Vimana contro un esercito terrestre: "Un missile sfolgorante che possedeva lo splendore del fuoco senza fumo venne lanciato. All'improvviso, una densa oscurità avvolse gli eserciti. Tutti i punti cardinali vennero avvolti improvvisamente dalle tenebre. Venti terribili cominciarono a soffiare. Le nuvole ruggirono negli strati superiori dell'atmosfera, facendo piovere sangue. Gli stessi elementi sembravano confusi. Il sole sembrava girare su sé stesso. Il mondo, ustionato dal calore di quell'arma, sembrava in preda alla febbre. Gli elefanti, ustionati dall'energia di quell'arma, fuggivano in preda al terrore, cercando un riparo che li difendesse da quella forza terribile. Persino l'acqua si riscaldò, e le creature che vivevano nell'acqua parvero bruciare. I nemici caddero come arsi da un incendio devastatore. Enormi elefanti, arsi da quell'arma, cadevano da ogni parte. Altri, ustionati, correvano qua e là, e barrivano spaventosamente nella foresta in fiamme. I destrieri e i carri, arsi dall'energia di quell'arma, sembravano moncherini di alberi consumati nell'incendio di una foresta. Migliaia di carri caddero da ogni parte. Poi le tenebre nascosero tutto l'esercito..."

Una descrizione per molti versi analoga appare in un'altra sezione del Mahabharata, il Mausola Parva, ove si narra di un'altra misteriosa arma divina lanciata dai Vimana, e i cui effetti ricordano straordinariamente quelli prodotti da un'esplosione nucleare: "Era un fulmine di ferro, un gigantesco messaggero della morte che incenerì tutti i nemici. Le salme divorate dal fuoco erano irriconoscibili. I sopravvissuti perdettero i capelli e le unghie, le terraglie andarono in frantumi senza una causa apparente, le penne degli uccelli imbiancarono. Dopo qualche ora tutte le cibarie erano avvelenate. Il fulmine si disgregò in una polvere sottile". Qualcosa di simile ricorre in un altro episodio, che vide protagonista il divino Gurka (o Cukra), che dal proprio Vimana, "...un blocco lucente di antimonio, lanciò un'arma dalla quale, dopo l'esplosione, si alzò un fumo di biancore accecante, diecimila volte più luminoso del sole. Essa ridusse in rovine e cenere la città colpita".

Gli stessi effetti di questi ordigni così simili alle bombe nucleari sono descritti nel Ramayana, nell'episodio in cui il dio Hanuman attacca il regno di Danda, l'antico Sri Lanka (probabilmente la città di Mohenjo-Daro), lanciando "un fulmine più abbagliante di mille soli. Gli uomini e gli animali che non rimasero inceneriti sul colpo morirono tra mille tormenti".




Mohenjo-Daro
Mohenjo-Daro fu una metropoli in cui si sviluppò una fiorente civiltà, sorta tra il 2500 e il 2100 a.C. che fu distrutta in circostanze misteriose ed i cui resti furono portati alla luce nel 1944 da Sir Mortimer Weeler. Tra i suoi enigmi vi è la scrittura pittografica, ancora indecifrata, in cui gli studiosi hanno classificato almeno 400 segni, simili a dei rebus. In merito alla sua fine, la scienza ufficiale propone due ipotesi: la prima considera l'inondazione del fiume Indo, e la seconda adduce le invasioni dei popoli arii. Ma i segni di bruciatura sui muri della città escluderebbe l'inondazione, e l'entità della distruzione escluderebbe gli scontri bellici preistorici "umani".

L'Autore di questo studio, Salvatore Poma, vede una stretta analogia tra la distruzione della città di Mohenjo-Daro e la distruzione di Sodoma e Gomorra. Innanzitutto, entrambe le regioni (la valle dell'Indo e la pentapoli biblica nella valle di Siddim) vengono devastate e in entrambi i casi un personaggio, avvertito dell'imminente pericolo, riesce a rifugiarsi in una "zona di sicurezza". Inoltre, nelle due versioni il provvedimento punitivo viene inflitto come conseguenza di un reato a sfondo sessuale, dove nel caso di Danda/Mohenjo-Daro la punizione vendica la violenza sessuale subita dalla figlia di Bhargava.

Questa vicenda, ritenuta per secoli un episodio fantastico, un mito, ha trovato invece una conferma scientifica quando l'archeologo David Davenport, esperto di scrittura sanscrita, ha rinvenuto, proprio a Mohenjo-Daro, evidenti tracce di contaminazione atomica avvenuta nel 2000 a.C, oltre ad innumerevoli oggetti vetrificati che solo un intenso calore avrebbe potuto produrre, e mura crollate sotto uno spostamento d'aria di inaudita potenza...

La scoperta ha confermato il fatto che gli antichi scrittori indiani erano soliti distinguere scrupolosamente la letteratura mitica, chiamata Daiva, dalle cronache documentate, chiamate Manusa. E proprio nei Manusa sono descritte le funzioni e i particolari più elaborati dei Vimana.

I testi epici indiani abbondano di lotte tra dei, fra dei e semidei, fra umani ed esseri celesti. Queste battaglie venivano condotte, da parte degli dei, con l'utilizzo di macchinari bellici decisamente avveniristici, Vimana in testa. Ma nonostante le straordinarie prestazioni, i Vimana potevano essere abbattuti. Nella sezione Karna Parva del Mahabharata si legge "Karna prese un'arma terribile, la lingua del Distruttore, la Sorella della Morte, un'arma tremenda e fulgida. Quando i Rakshasas (demoni non molto dissimili dai moderni grigi) videro l'arma eccellente e sfolgorante puntata verso di loro, ebbero paura. Il missile risplendente si levò nel cielo notturno ed entrò nella formazione simile a una stella, e ridusse in cenere il Vimana dei Rakshasas. La nave nemica cadde dal cielo con un rumore tremendo". Anche le armi lanciate dai Vimana potevano essere intercettate ed abbattute. Sempre nel Drona Parva si riporta di una lotta fra dei, con armi presumibilmente nucleari. "Attaccato da Valadeva, Jarasandha, molto corrucciato, ci lanciò addosso, per distruggerci, un proiettile capace di uccidere tutte le creature della terra. Proiettando una luce accecante, la massa di fuoco divise in due il firmamento, come un pettine che separa i capelli sulla testa. Quando vide l'oggetto fiammeggiante, il Figlio di Rohimi (una divinità) gli lanciò contro un'arma chiamata Sthunakarma; quest'arma annichilì la potenza del proiettile avversario, che si abbatté sulla terra ferendola e facendo tremare le montagne". La precisione realistica di questa ed altre narrazioni, anche le descrizioni dei Vimana sono obiettivamente troppo dettagliate nelle loro caratteristiche tecniche per poter essere considerati dei semplici miti. Di un Vimana chiamato Puspaka, descritto nel Ramayana, si dice chiaramente che la sua luminosità era dovuta a dei getti infuocati che fuoriuscivano da una serie di ugelli simili a colonne dorate; il suo interno era dotato di portelli metallici e di una grande cabina di comando, il "padiglione", con ambiente né freddo né caldo, munita di comodi sedili per i passeggeri, "i nobili seggi". Puspaka poteva essere telecomandato "secondo il desiderio dell'animo".

I Vimana di questo tipo (secondo i Purana ne esistevano differenti modelli, i Sundara Vimana, simili alle nostre navicelle Apollo, e i Tripura Vimana, macchine volanti di forma allungata), potevano volare su grandi distanze grazie all'aria e a uno strano combustibile "di fuoco e di mercurio". "Per mezzo di queste macchine", riferisce un altro testo, il Samar, gli esseri umani potevano volare nell'aria e gli esseri celesti scendevano sulla terra. Costoro salivano alle Regioni Solari (Suryamandala) e poi, al di là di queste, alle Regioni Stellari (Naksatramandala).

"Gli ultimi abitanti di Mohenjo-Daro sono periti di una morte subitanea e violenta", ha scritto l'archeologo Sir Mortimer Wheeler. Nelle macerie della città sono stati trovati 43 scheletri evidentemente il grosso della popolazione aveva fatto in tempo a sfollare): si tratta di persone colte da una morte istantanea mentre attendevano alle loro faccende. Una famigliola composta da padre, madre e un bambino, è stata trovato in una strada, schiacciata al suolo mentre camminava tranquillamente. "Non si tratta di sepolture regolari", ha scritto l'archeologo John Marshall, "ma probabilmente del risultato di una tragedia la cui natura esatta non sarà mai nota". Un'incursione di nemici è esclusa, perché i corpi non presentano ferite da arma bianca. In compenso, come ha scritto l'antropologo indiano Guha, "si trovano segni di calcinazione su alcuni degli scheletri. È difficile spiegare questa calcinazione...". Tanto più che gli scheletri calcinati sembrano meglio conservati degli altri.

È un mistero per cui Davenport e Vincenti hanno arrischiato una spiegazione, di cui hanno reso minutamente conto in un libro che hanno scritto insieme: 2. 000 a. C. : distruzione atomica (Sugarco editore, Milano).


 
Top
0 replies since 10/6/2010, 20:27   40 views
  Share